lunedì 9 maggio 2011

Delitto e Castigo.

Per alcuni l'errore è una condizione dell'essere, una delle tante. Si dorme, si lavora, si ride, ci si arrabbia, si sbaglia. E per ogni peccato c'è pronto un perdono specifico, appositamente studiato. Una giustificazione, che mette tutto al suo posto. E che non lascia traccia. Rimettersi alla condanna degli altri pone un limite concreto alla tua colpa. Stabilisce il confine dell'espiazione. E questo, a pensarci bene, è incredibilmente confortante.
Ma per chi crede in qualcosa, per chi ha un'idea di se stesso, cui dover rendere conto, l'errore non è contemplato. Commetterlo equivale ad una rovina perenne. E la responsabilità rimane una condanna intima. Qualcosa che ti leghi al fianco e ti trascini per tutta la vita. Qualcosa che non ti appartiene, ma di cui non potrai liberarti. Mai più.

A farsi giudici di sè, non c'è più espiazione.

No, davvero. E quand'anche la vita ti offrisse ancora l'opportunità di mostrare a te stesso chi sei veramente, il bilancio finale sarebbe comunque incongruo alle aspettative, una reticenza là dove avresti voluto un'esclamazione.
L'onta che ti ha macchiato, ti toglie il diritto di urlarti per quello che sei.
E non c'è castigo più grande che essere rassegnati al silenzio.